Libertarie - Amelia, Biografie

« Older   Newer »
  Share  
signoradeglianelli
view post Posted on 19/1/2006, 20:18




Amelia
(1910-1997)


La guerra civile spagnola, il più sanguinoso e cruento evento bellico della prima metà del novecento europeo, ci ha consegnato il ricordo di tante eroiche battaglie, di violenti scontri fratricidi, di volontari coraggiosi e d’autentici eroi, elevati, nel comune sentire, al rango di veri e propri miti popolari.
Una intera letteratura storico-popolare è fiorita intorno alle loro gesta, lasciando talvolta il posto al racconto e al diffondersi di romantiche storie dal sapore spesso d’autentiche leggende.
Giornalisti, poeti, scrittori, registi e intellettuali, accorsi in Spagna da molti paesi e da ogni continente, hanno raccontato quella gesta, vissute direttamente sul campo.
Quasi sempre però, sia nella storiografia ufficiale, sia in quella di parte anarchica, si parla, riferendosi a quegli avvenimenti, di uomini e, solo raramente, ci si riferisce a figure femminili, anche quando queste hanno rivestito un ruolo di assoluto rilievo.
Eppure quelle donne sono state numerose e il loro ruolo si è rivelato spesso decisivo nel sostenere le operazioni delle milizie di volontari e dell’esercito antifascista repubblicano.
Si sono distinte in ogni attività e in ogni angolo del paese in guerra. Hanno combattuto con coraggio in prima linea ed hanno sostenuto l’organizzazione dei volontari e l’invio degli aiuti ai combattenti impegnati al fronte.
In particolare si sono dimostrate preziosissime e indispensabili nei soccorsi sanitari in trincea, negli ospedali delle città e nelle retrovie.
A ben considerare si può addirittura affermare che quella spagnola sia stata la prima guerra moderna, nella quale le donne hanno svolto un ruolo di primo piano, sia al fronte, sia nelle retrovie.
Vi è, dunque, un pesante debito di riconoscenza di carattere politico-morale che dobbiamo loro e che non è stato ancora adeguatamente riconosciuto e pagato.
Questo ricordo, lungi da essere sufficiente a colmare il vuoto appena denunciato, vuole essere solo un doveroso omaggio ad una di loro e, nello stesso tempo, intende comprenderle idealmente tutte.

“ Tutti i giovani libertari devono restare ai loro posti di lotta. Ora più che mai dobbiamo avere fede nella vittoria. Ogni militante deve convertirsi in un guardiano della Rivoluzione.
Con il nostro sforzo, con il nostro sacrificio, dimostreremo al mondo di che cosa è capace un popolo come il nostro.
Dalla nostra resistenza verrà la scintilla che provocherà l’incendio della Rivoluzione internazionale, l’unica che salverà la Spagna”. (1)

Chi pronunciava con tanta forza queste parole in una sala di Barcellona assediata dai franchisti, tra il deflagrare delle bombe e la rumorosa e confusa determinazione dei volontari repubblicani, era una minuta quanto combattiva donna nata a Cullera, nei pressi di Valencia, il 10 dicembre 1910, che rispondeva al nome di Amelia Jover Velasco.
L’imminente pericolo che incombeva sulla capitale della Catalogna e che rischiava di vanificare irrimediabilmente ogni sacrificio fino a quel punto compiuto da tanti uomini generosi, non la spaventava.
Il suo carattere e il suo animo, infatti, erano stati forgiati, fin dall’infanzia, da mille altre difficoltà.
Nonostante le infinite delusioni sofferte, dalla campagna spagnola, al deserto tunisino, da Madrid a Parigi, Amelia ha saputo per oltre ottant’anni conservare intatta la sua fede per l’anarchia e la libertà.
Pur essendo di umile origine, ebbe la fortuna, contrariamente a molte sue coetanee, di frequentare regolarmente le scuole elementari del suo paesino d’origine, dove la tradizione agricola non lasciava certo alcuno spazio alla nascente industria e al commercio. Attorno a lei regnava la miseria e l’ignoranza.
Le condizioni economiche della Spagna erano allora tra le più misere e arretrate d’Europa. Le campagne poi risentivano ancora pesantemente dell’analfabetismo e della soffocante presenza di un clero conservatore e bigotto. Altissima era infine la mortalità infantile dovuta alla fame e alle malattie.
Amelia poteva dunque considerarsi fortunata di poter accedere almeno all’istruzione primaria e avere un pezzo di pane con il quale sfamarsi.
La passione per lo studio e il desiderio d’apprendere gli avvenimenti e gli insegnamenti della storia, la portò ben presto a distinguersi dalle sue compagne per preparazione culturale e per la determinazione che subito dimostrò nel mettere le sue conoscenze a disposizione dei più poveri e dei più sfortunati.
Le limitatissime possibilità economiche della famiglia la costrinsero ben presto, tuttavia, a doversi mantenere economicamente da sola, e ad adattarsi a svolgere ogni tipo di lavoro, pur di sopravvivere.
Nonostante i suoi sforzi, dopo pochi anni però fu obbligata a rinunciare definitivamente al sogno di completare gli studi intrapresi e di coronarli con il conseguimento del sospirato diploma. Divenne di conseguenza una colta e sensibile autodidatta.
La sua traumatica esperienza personale e la conoscenza della triste e miserevole condizione in cui versavano allora i contadini e gli operai spagnoli la indussero, quasi per reazione, a frequentare i circoli rivoluzionari e le associazioni sindacali, che, timidamente, si stavano rapidamente organizzando e diffondendo in tutta la penisola iberica.
Entrata, dunque, ancora in giovane età in contatto con alcuni gruppi anarchici, già molto attivi in Spagna, iniziò a leggere la stampa libertaria e a frequentare regolarmente le riunioni dei gruppi e dei circoli rivoluzionari.
Trasferitasi a Valencia alla ricerca di una sistemazione economica meno precaria, riuscì ad occuparsi come cuoca presso lo stabilimento “Viena Automatico” e a lavorare per qualche tempo come meccanografica nell’apposito ufficio comunale.
La sua indole combattiva e ribelle la spinse successivamente ad affiliarsi al Sindacato de Gastronomia della “Conferacion Nacional del Trabajo” (CNT), il potente sindacato anarchico spagnolo. (2)
Iscrittasi immediatamente alla Gioventù Libertaria (JJ.LL.), fu eletta, in virtù del suo attivismo, segretaria della sezione politico-sociale della JJ.LL., venendo, successivamente, nominata anche rappresentante della Gioventù libertaria presso il “Comité Regional” della CNT nel Levante.
La passione che sapeva infondere in chi la frequentava rappresentò la sua migliore alleata nella incessante opera d’irrobustire le fila dell’organizzazione.
Le vicende della guerra civile, che sconvolsero e insanguinarono con oltre un milione di morti la Spagna dal 1936 al 1939, la videro ancora una volta attiva protagonista e sempre in contatto con i maggiori dirigenti della CNT (Confederazione Nazionale del Lavoro) e della FAI (Federazione anarchica iberica).
Tra loro emergevano per carisma e preparazione politico-militare nomi poi diventati leggendari quali: Buenaventura Durruti, Francisco Ascaso, Diego Abad De Santillan, Camillo Berneri ecc..
Per tutta la durata del conflitto Amelia svolse sempre e con la massima abnegazione i diversi compiti che l’organizzazione decise, di volta in volta, d’affidarle: fu ripetutamente al fronte e, quando la situazione lo richiese, mantenne i rapporti con i compagni, che nelle retrovie erano impegnati nell’organizzazione degli aiuti agli uomini in trincea.
La sua dedizione alla causa si dimostrò in ogni occasione assoluta e incondizionata, mentre la sua attiva presenza alle riunioni della Federazione o del Sindacato, fu sempre molto apprezzata dai compagni, che ascoltavano con attenzione e simpatia le sue proposte e le sue considerazioni politiche.
L’amico Ismael Roig di Carcaixent, che, nel 1997, ebbe modo d’apprezzarne le doti umane e l’ascendente politico che sapeva esercitare sui compagni, ha in seguito voluto ricordarla così:

“….Come molti, Amelia seguiva attentamente le decisioni dei militari contribuendo con i suoi interventi chiari e acuti a chiarire come andavano affrontati quei difficili momenti.
Si notava perché era l’unica compagna presente in mezzo ad un centinaio di militanti maschi, ma soprattutto perché i suoi interventi dimostravano che aveva ben chiara la posizione della CNT su quali fossero le risoluzioni da prendere in quei drammatici frangenti”. (3)

Amelia vide, purtroppo, cadere una dopo l’altra tutte le città conquistate alla Repubblica, subì l’umiliazione del “Maggio di sangue” di Barcellona, che, nel 1937, vide opporsi i comunisti agli anarchici e che si risolse col massacro di questi ultimi e pianse la scomparsa di tanti amici carissimi, primo tra tutti Camillo Berneri.
Con la definitiva vittoria di Francisco Franco sull’esercito repubblicano, nel 1939, ebbe inizio il suo secondo calvario.
Amelia, considerata una pericolosa sovversiva, venne, infatti, immediatamente arrestata nel porto di Alicante e internata nel centro di detenzione femminile di Cine Ideal, dal quale fu in seguito trasferita nel carcere di Santa Clara di Valencia, altra prigione riservata alle sole donne repubblicane.
Risultando però incinta e ancora in attesa di giudizio, fu immediatamente inviata all’ospedale provinciale di Valencia, dove, dopo poche settimane, partorì una vivace bambina.
Mentre, dunque, ogni sogno rivoluzionario a quel punto sembrava morto definitivamente, una nuova vita e una nuova speranza era nata e portava il nome di sua figlia.
Grazie all’aiuto di alcuni compagni, non appena le si offrì la concreta possibilità, scappò dalla Spagna, varcò i Pirenei e raggiunse la Francia.
Come migliaia di altri rifugiati politici sfuggiti alla repressione fascista scatenatasi in Spagna, anche Amelia fu però internata dalle autorità francesi nei famigerati campi di raccolta di Argeles sur mer e di Bram, appositamente predisposti per accogliere la marea di profughi provenienti dalla Spagna.
In realtà quei campi erano luoghi di raccolta infernali a cielo aperto.
Senza acqua, posti sulla spiaggia senza alcun riparo che proteggesse i profughi dalle intemperie, senza assistenza medica e pochissimo cibo, essi furono ricordati come veri e propri campi di concentramento.
Nemmeno i francesi, dunque, seppero o vollero dimostrare solidarietà agli sconfitti, che anzi diventarono ogni giorno di più ingombranti. (4)
Amelia, in seguito, denuncerà con forza e in diverse circostanze le sofferenze patite in quel periodo e l’insensibilità dimostrata dalle autorità francesi nei confronti di coloro, che tanto si erano battuti per la sconfitta del fascismo e che ora erano costretti a fuggire per non cadere vittime dalla reazione franchista.
Dopo nove mesi durissimi di permanenza in Francia, riuscì finalmente a raggiungere, insieme alla figlia, il suo compagno a Tunisi.
In Africa, grazie alla solidarietà di altri compagni, riuscì, finalmente, a godere di una discreta tranquillità per oltre venti anni.
La sua giornata era scandita dalle numerose incombenze domestiche e dal desiderio di educare la figlia nel miglior modo possibile.
Ancora una volta la Tunisia si dimostrava terra ospitale per gli anarchici italiani, che, fin dalla seconda metà dell’ottocento, là avevano trovato rifugio e lavoro, seguendo l’esempio di Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei Due Mondi.
Al suo ritorno in Europa trovò una situazione politico-sociale completamente cambiata e del tutto diversa da quella che aveva lasciato.
La seconda guerra mondiale era terminata con la sconfitta del nazifascismo, molti vecchi compagni di lotta erano morti, pochi altri si erano aggiunti, e il movimento anarchico, così forte e numeroso negli anni trenta, ora segnava il passo.
Il sogno rivoluzionario aveva lasciato il posto ad ordinamenti democratici, che non perseguivano più il reato d’opinione o d’associazione.
Quel che rimaneva del movimento libertario internazionale sopravviveva ormai in poche realtà e in alcuni gruppi o organizzazioni locali, che solo raramente riuscivano a incidere sulla realtà politica e sociale del loro paese.
La sconfitta spagnola, in sostanza, li aveva emarginati ed ora relegava i suoi protagonisti e le loro gesta ai soli libri di storia.
Ma il sogno rivoluzionario di Amelia era ancora vivo nel suo cuore e non voleva morire. Sentiva che occorreva riprendere subito il lavoro e stringere le fila del movimento.
Ora, che anche la seconda guerra mondiale era finita, le sembrava possibile e necessario riprendere il cammino interrotto attualizzando le idee e i principi anarchici.
Ritornata, dunque, in Francia nel 1962, si stabilì a Parigi, dove volle entrare immediatamente in contatto con “l’Organizacion del Movimiento Libertario”, il “Centro de Estudios Sociales y Economicos” (CESE) e la “Agrupacion Confederal de Paris”. La capitale francese offriva allora un osservatorio straordinario e unico dei mutamenti nella società contemporanea.
Gli anni successivi la videro partecipare con entusiasmo a diverse manifestazioni commemorative e di studio in Francia, in Spagna e in altri paesi europei.
Quando lei arrivava e prendeva la parola, un commosso sentimento di gratitudine attraversava l’animo dei presenti e un lungo applauso le dava il caldo benvenuto dei compagni.
Il movimento del ’68 con la sua carica libertaria, antiautoritaria, pacifista le offrì, forse, l’ultima illusione della sua vita.
Sentiva che quel movimento di giovani, di operai e di intellettuali poteva scuotere dalle fondamenta l’ordine costituito e creare le premessa di una società più libera.
Sempre attiva e disponibile ad offrire consigli a quanti la frequentavano, in quei mesi fu vista partecipare a molte manifestazioni, conferenze e comizi.
Fra gli appuntamenti più significativi ai quali non volle mancare vanno ricordati: la commemorazione di Enrique Marco Nadal (1995), l’incontro sulle donne nella guerra civile (1996) e il centenario della nascita dell’amico Buenaventura Durruti (1996), il mitico comandante anarchico conosciuto nel corso della sanguinosa battaglia per la difesa di Madrid, dove questi trovò la morte in circostanze mai del tutto chiarite.
Ferma più che mai nelle sue convinzioni libertarie, Amelia si spense, circondata dall’affetto dei suoi cari e di molti amici, a Parigi il 12 settembre del 1997. (5)
I tanti compagni che, con le bandiere dei loro circoli, l’accompagnarono nel suo ultimo viaggio piansero ad un tempo l’amica, la compagna, la combattente, l’esiliata e la madre affettuosa.
Amelia ora appartiene alla schiera di coloro che, a pieno merito, hanno segnato la storia del breve sogno rivoluzionario spagnolo e reso possibile il suo insegnamento alle nuove generazioni.

[ continua ]

*Note

1) Archivio G. Pinelli: “Bollettino”, n. 12, 1999.
2) ibidem.
3) “Libertarias”. 1996.
4) O.C. n. 1.
5) Ibidem.


Edited by lamya - 23/1/2006, 14:01
 
Top
MichiWeb
view post Posted on 19/1/2006, 22:26




CITAZIONE (signoradeglianelli @ 19/1/2006, 20:18)
Amelia vide, purtroppo, cadere una dopo l’altra tutte le città conquistate alla Repubblica, subì l’umiliazione del “Maggio di sangue” di Barcellona, che, nel 1937, vide opporsi i comunisti agli anarchici e che si risolse col massacro di questi ultimi e pianse la scomparsa di tanti amici carissimi, primo tra tutti Camillo Berneri...

Curioso.

Non mi aspettavo di trovare qui il ricordo di una figura di culto come Amelia, né di vedere citato qui il nome di Camillo Berneri, che venne ucciso dagli stalinisti il 5 maggio 1937, all'uscita di una una stazione radio catalana dalla quale aveva ricordato la figura di Nino Gramsci, morto otto giorni prima.

Son tornato per un attimo all' "Omaggio alla Catalogna" di Orwell, ad Andrès Nìn, ad Errico Malatesta, a "Terra e Libertà".

Curioso, davvero, ma la memoria a volte è prodiga.



 
Top
the Dog (c)
view post Posted on 20/1/2006, 13:23




Chissà perchè, e me lo chiederò sempre, l'anarchia ha i connotati che tutti le riconoscono, normalmente?
Chissà perchè, e me lo chiedo ogni volta, l'anarchia moderna è sempre associata e spesso assimilata alla sinistra, sovente la più estrema? Perchè, quando poi gli anarchici e gli anarcoidi si fanno massacrare regolarmente e senza fiatare, dai comunisti?
Come mai i loro colori rosso-neri - che una notte degli anni 70 me li fece apparire come un gruppo di milanisti - sono più rossi che al neri?
Perchè, quando l'anarchia è - per definizione - l'antitesi di ogni regime o governo organizzato ed autorevole? Perchè non si ricordano mai - e me lo chiedo sempre - che fine gli hanno fatto fare nell'Unione Sovietica e nell'europa comunista, insieme ai cattolici, agli ebrei e ai liberali? A farsi processare ed impiccare da tribunali americani (e parlo di Sacco e Vanzetti, che per l'ultima cronaca, non erano neanche inoocenti, almeno Vanzetti)

In una parola, chi glielo fa fare agli anarchici di essere anarchici?
Mi sono risposto. La loro è solo apparentemente un atteggiamento romantico, decadente, eroico e individualista. In realtà gli anarchici sono gli ultimi, Grandi, masochisti viventi.
E si sentono sufficientemente eternati da una canzone di Joan Baez, da un film, da un libro e da un blog.

Però lo ammetto: dev'essere bello sparare a un Re e scatenare una guerra.... bello, sì.

Edited by the Dog (c) - 20/1/2006, 13:25
 
Top
fra Paolo
view post Posted on 21/1/2006, 02:26




Amelia Jover Velasco, e' stata sicuramente un' eroina cosi' come tantissime altre donne e uomini sconosciuti che hanno sacrificato tutta la loro vita agli ideali di giustizia e liberta'.
Questi ideali pero' non hanno corso dentro le realta' del tempo e le realta' riformiste richieste dai lavoratori e del popolo che erano le loro vere aspettative, bensi' dentro le ideologie : pseudo-marxista della dittatura del proletariato e dell' utopismo anarchico.
A fare le spese di queste follie dottrinarie e' stata dappertutto la povera gente.
La rivoluzione russa (la rivoluzione d'ottobre 1917) ebbe successo con le parole d' ordine "pace e terra ai contadini" e non sulle parole d' ordine comunismo e dittatura del proletariato.
In Germania la Lega Spartachista di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg si era prefissa nel '18-'19 di fare la rivoluzione comunista e la dittatura del proletariato come in Russia. Ma era forse questa la richiesta dei lavoratori e del popolo ? No, infatti i lavoratori e il popolo seguirono pochissimo questi rivoluzionari comunisti, le loro richieste erano quelle riformiste, del lavoro e dei salari. Cosi' questi spartachisti, operai e lavoratori, buttandosi nel tritacarne avventuroso dell' ideologia furono massacrati.
I marxisti piu' realisti, come Kautky e Bernstein, che rifuggivano questa fissa pseudo-marxista della dittatura del proletariato erano considerati dei traditori, dei rinnegati (vedi Lenin : "katsky il rinnegato").
In Spagna il governo repubblicano, democraticamente eletto, era tutto spostato sul fronte marxista, con la solita fissa della dittatura del proletariato, e sulle componenti anarchiche. Potevano andare d' accordo queste due ideologie, una il contrario dell' altra, che gia' in Russia subito dopo la rivoluzione si erano combattute con lo sterminio da parte dei bolscevichi degli anarchici ? Poteva il cattolicissimo popolo spagnolo amare il caos che si era generato e il crudele anticlericalismo anarchico ? Se la Repubblica si fosse inserita nelle reali esigenze del popolo spagnolo con un programma riformista e attento alla sua grande sensibilita' cattolica, che prospettive di insurrezione e di guerra vincente potevano avere i franchisti ? Ma, allora, la sinistra vincente era quella pseudo-marxista della dittatura del proletariato, nelle sue varianti : quella stalinista (del socialismo in solo paese) vittoriosa e quella trotskista (della rivoluzione permanente) perseguitata, e l' anarchismo.
Le altre sinistre socialdemocratiche e liberali erano definite socialfasciste, poi furono accettate nei fronti popolari ma sempre pochissimo aiutate e disprezzate, e cosi' i lavoratori e i popoli si trovarono scannati fra, e con, il nazifascismo e lo stalinismo.

Edited by fra Paolo - 21/1/2006, 11:09
 
Top
4 replies since 19/1/2006, 20:18   269 views
  Share