| Un mazzo di fiori capovolto appeso alla cantina della mente... eventi che possono sembrare sogni...
1982
1992:
Primo giorno
Sono quasi le tre, sono in ritardo. Spero che lo sia anche il paziente. Lo studio non è distante da casa, devo solo sperare di non trovare traffico e di incappare nell’”onda verde” dei semafori. Mi è andata bene. Parcheggio a scheggia, scendo rapida dall’auto e sto già frugando nella borsa alla ricerca delle chiavi dello studio. Le trovo subito. Una serie di miracoli, oggi! Apro la saracinesca mentre do un’occhiata veloce alla mercedes parcheggiata di fianco alla mia punto. Non è il mio paziente. Entro, sistemo la scrivania ed ho persino cinque minuti per riprendere fiato. Pomeriggio intenso di lavoro, storie sempre nuove in un contenitore vecchio di miliardi di anni, emozioni e fatti che furono, sono, saranno. Mi piace il mio lavoro. Sono le otto. C’è luce. Le giornate si sono allungate di colpo, non me n’ero accorta. Come cambiano i tempi dei nostri gesti a seconda del tempo a disposizione: rimetto a posto la scrivania, vado in bagno, mi sciacquo le mani. Agenda e borsa. Chiudo lo studio. Tutto a ritmo lento. Alle tre ero rock ora sono blues. Mi avvicino alla macchina. Salgo e la rivedo, parcheggiata dall’altro lato della strada. Di nuovo la mercedes. Non è un mio paziente, ma di fianco al mio, c’è uno studio dentistico. I dentisti i soldi li fanno davvero, avrà cambiato macchina. Accendo la radio e mi avvio. Leonard Cohen mi accompagna nostalgico.
Secondo giorno
Stamattina ho dovuto sbrigare tutta una serie di commissioni. Decido di mangiare qualcosa nel bar vicino allo studio, così faccio con calma. Ho parcheggiato e aperto la saracinesca, evito di farlo dopo. Al bar ci arrivo a piedi, è a meno di trecento metri, è caldo oggi. La gente è già a tavola, praticamente non incontro nessuno. Vado proprio piano per non arrivare subito. Dal giardino dell’avvocato mi arriva il profumo intenso del virginalis, mi fermo ed annuso l’aria come i cani, poi proseguo. Il bar non ha pretese. Mi cerco un tavolino appartato, ma sento gli sguardi degli operai di un cantiere aperto che sono in pausa. Mi arriva il toast e la birra ordinati e la sigla del telegiornale. Non so se è peggio il sapore del toast o delle notizie che sento. Bevo la mia birra in questo bar che odora di popolo. Il caffè me lo faccio servire ad un tavolo fuori, sento il bisogno di fumare e l’aria oggi è quasi estiva. Bizzarro questo tempo. Sono le due e mezza. Ancora mezzora. La birra mi ha un po’ intorpidita ma mi ha messo di buonumore. Pago e mi avvio. Incontro un anziano in bicicletta che mi saluta. Non lo conosco, ma gli anziani ancora salutano gratuitamente. Il gatto delle pompe funebri mi guarda con la faccia ottusa, io lo saluto e lui scappa. I gatti non salutano gratuitamente. Mi fermo davanti al giardino dell’avvocato e respiro a pieni polmoni un ramo pieno di fiori che prudentemente non si affaccia dal cancello. Potrei infilare una mano, reciderlo e portarmelo in studio, ma non lo faccio. Mica per l’avvocato e neanche per il virginalis, perché il tizio del mercedes mi sta guardando. Ricambio rapidamente lo sguardo, non è il dentista. Sento che continua ad osservarmi, che faccia pure. Apro lo studio ed entro. Una sigaretta prima di cominciare. Poi inizia la circumnavigazione delle anime. Esco con l’ultimo paziente che ha deciso di farmi compagnia mentre chiudo lo studio. E’ impossibile non vederla, la mercedes, è esattamente dov’era alle tre. Lui è seduto al posto di guida e fuma il sigaro con il finestrino aperto. Lo spio con la coda dell’occhio, lui non finge neanche, mi guarda e basta. Ma chi è?! Saluto la paziente e salgo in macchina. Inversione a u che mi costringe a fiancheggiare la sua. Lo guardo tranquilla, lui accenna un sorriso. Accelero ma il semaforo rosso mi blocca. Guardo nello specchietto retrovisore, anche lui si è avviato. E mi segue. Dieci minuti e sono a casa. Allora non è casuale. Questa cosa non mi piace. Non mi piace che ora sappia anche dove abito.
Terzo Giorno
Oggi vado a lavorare più tardi. Me la prendo comoda. Pranzo tranquillo, musica soft in sottofondo, gioco un po’ con il cane. Poi mi vesto e mi trucco con maggior cura e vado. Faccio finta di non vederli, lui e la sua mercedes. Scendo dalla macchina, apro lo studio ed entro. Mi concentro sul mio lavoro. Accompagno il paziente delle sei fin sull’uscio, giusto per sbirciare fuori. Non c’è. Bene. Alle otto, è di nuovo lì. Comincio ad innervosirmi…Ma chi è? Cosa vuole da me? Non ho sospesi in giro, né parenti mafiosi..e poi..è troppo distinto per essere un sicario..anche se non si può mai dire…Ma che vado pensando? Mi dico da sola. Entro in macchina ignorandolo. Mi avvio piano, svolto l’auto e il semaforo mi ferma. Ci fosse una volta! Lui mi è dietro. Al verde scatto e volo, cambio strada. La punto fa quello che può. Lui c’è, come Dio. Accosto appena posso, lui pure. Sono veramente infastidita. Scendo dall’auto e vado verso la sua. Lui non scende, mi guarda. Mi chino all’altezza del suo finestrino, sperando che non mi spari in faccia e controllando il fastidio, gli chiedo -allora, che vuole da me? -…sì, mi rendo conto che la cosa può averla infastidita, ma non volevo… Non lo faccio finire -ecco, mi ha infastidita, dunque la smetta! -senta, io vorrei parlarle..non ha nulla da temere, mi creda. La voce è grave ed il tono pacato. -ma cos’è? Un approccio? Perché se è così, guardi, proprio non m’interessa! -non è un approccio. Vorrei solo invitarla a bere un caffè, a pranzo… Sembra una supplica, ora. -ma perché?!?! -cosa le costa? Non ha nulla da temere in un luogo pubblico, no? -mi scusi…ma non ne vedo il motivo. Ci conosciamo? Non mi pare. E’ parente di un mio paziente e vuole qualche informazione? Guardi che… -no, no…non ci conosciamo, non ho parenti che vengono da lei, non sono neanche di questa città. Sono qui di passaggio e vorrei che lei pranzasse con me. Poi capirà. -senta.. ho già perso del tempo, non m’interessa questa cosa. Buona serata. Mi avvio sconcertata e infastidita. -ci pensi, la prego! Mi dice sporgendosi dal finestrino. Sei fuori di testa, ecco cosa penso io.
Quarto giorno
E’ giovedì. Sarà una giornata campale. Torno al bar per mangiare qualcosa al volo e in piedi. Gli operai non hanno ancora staccato. Pochi gli avventori. Ho appena finito il mio toast, per poco la birra non mi va di traverso. -due caffè…posso offrirle un caffè, vero? Me lo trovo di fianco, elegantissimo e sorridente. Il barista li sta già preparando. Non mi va di discutere in pubblico, quale che sia il pubblico. -Ci sediamo fuori, dico, e il tono mi esce perentorio. Ci sediamo ad un tavolino al sole, lo guardo con le braccia conserte e mi sento lo sguardo duro. -si rilassi, la prego…è solo un caffè. -la sua insistenza rasenta la cattiva educazione, lo sa? -non sia così severa, la prego…e lasci che la guardi -se pensa che la cosa mi lusinghi, ha sbagliato persona, mi creda! Sono vecchia di intorti…e anche lei non è più un ragazzino, mi pare. -non sto cercando d’intortarla…lei mi sta facendo un grosso dono. Lo guardo scettica, mentre sorseggio il mio caffè. E’ impressionate, mi creda..davvero impressionante! Lo dice con un tono così assorto e pacato che mi spiazza. Mi arrendo e mi rilasso. -mi dice cos’è impressionante? -domani a pranzo. Ma non qui. Scelga lei il posto e si ritagli un’ora. -la sua insistenza mi incuriosisce persino, dico un po’ acida… Cos’ho da perdere? Prenota lei? Gli dico il posto e l’ora, ringrazio per il caffè e vado.
Quinto giorno
Lo trovo davanti al ristorante che mi aspetta. E’ distinto e garbato nei modi. Ho indossato un gessato blu, sdrammatizzato da una maglietta fucsia, ho i tacchi alti e mi sono tirata su i capelli. Sono molto professionale oggi, da pranzo di lavoro. Mi apre l’uscio del ristorante e il cameriere ci accompagna in una saletta riservata. -sta molto bene, vestita così. -grazie…allora? -non vuole pranzare prima? -va bene…pranziamo prima.. -io so alcune cose di lei, come si chiama, il lavoro che fa, dove abita e sorride quasi a farsi perdonare. Comincio dicendole che mi chiamo Sandro, che sono di Milano e sono ingegnere. Il cameriere arriva con il menù. Ordiniamo e lui prosegue. Sono sposato, anzi lo ero, ma lei se n’è andata. Ero innamoratissimo, eravamo innamoratissimi…ma lei mi ha lasciato. E’assorto, capisco che sta rivedendo qualche scena del passato. Perché lo ha lasciato? mi verrebbe voglia di chiedere...ma non chiedo, se vuole me lo dirà. Arriva il primo, ..davvero delizioso! Me lo gusto con calma, sorseggiando dell’ottimo vino rosso. Il secondo non è da meno. Il vino mi ha sciolto e sono persino più magnanima. -Lei non è una da dieta? Mi dice sorridendo -assolutamente no, merito del mio metabolismo..non ingrasso granchè. Glielo dico un po’ compiaciuta. Anche Silvia amava la buona tavola. E s’intristisce. -senta, perché non smette un po’ di pensarci? Lei non è qui, si goda pranzo e compagnia. -lei è qui, mi creda. Mi guardo in giro sconcertata. Ma che ha combinato? Mi usa per far ingelosire la sua ex moglie? Negli altri tre tavoli due uomini, una coppia di anziani, un signore da solo… Lo guardo interrogativa. -lei…è Silvia! -senta… Il cameriere arriva con il caffè. -lei pensa che io sia matto vero? -assolutamente sì, lei che penserebbe? - la stessa cosa… Apre la sua 24ore e tira fuori una busta gialla dalla quale sfila delle foto. -le guardi.. le guardo e mi irrigidisco. Vedo me. -che scherzo è questo? Chi gliele ha date? Scatto in piedi indignata, penso di andarmene. Si fermi, la prego… -è uno scherzo idiota, e vorrei sapere a cosa le serve! -le guardi bene, per favore! Le torno a guardare risentita restando in piedi e in silenzio. Gli abiti che indosso non sono i miei, mai posseduto uno Chanel, non rientra nei miei gusti e guardando meglio, lei è diversa, ha qualcosa di diverso. In un primissimo piano ha persino lo stesso colore di occhi, non ha le efelidi che mi ritrovo sul naso, nè i nei sulla guancia sinistra, e l’espressione è più felice della mia abituale. -impressionante, vero? -sì, se non fosse per alcuni particolari e per l’aria davvero felice, potrei dire che sono un bel fotomontaggio. La guardo ancora. Sempre più incuriosita. Sapevo di questa storia dei sosia che abbiamo in giro, ma la somiglianza è straordinaria. Mi fa uno strano effetto. -aveva i capelli più mossi rispetto ai suoi ed era più alta, ma vi somigliate persino nei gesti. -non so che dire…credevo fossero cose da film. Scorro le foto e lei mi guarda radiosa. -adorava i gioielli…lei? -non ne faccio una malattia…allargo le braccia per fargli notare che ne sono sprovvista, anello a parte. -anche le mani sono uguali. Come le muove. Silvia era molto attenta ai particolari..era l’incarnazione della perfezione, per me, certo… Riguardo le foto. Perfetta in ogni dettaglio, vero. E di classe. Nulla che stoni nelle sue mise. -capisce, ora? -ci provo. Devo mettermi nei suoi panni, pensare a come avrei reagito nel vedere un uomo molto simile a quello che mi ha lasciata… -capisce perché ho insistito? Lei mi sta facendo un dono davvero grande, cioè....quando l’ho vista la prima volta, per caso, davanti al suo studio, ho creduto di avere un’allucinazione. Mi sono dovuto fermare tanto era lo sbigottimento e l’emozione. Poi ho controllato i suoi orari, sulla targa esposta fuori dal suo studio…ho prolungato la mia permanenza qui…il resto lo conosce. Mi spiace averla spaventata. Ma non potevo fare altrimenti. Lo guardo in silenzio e spero di non avere un’espressione di Silvia. Il suo viso tradisce una sofferenza incontenibile. -Io dovrei andare, ora. Gli dico raddolcita. So che gli farebbe bene parlare, ma non mi viene da chiedere, il suo dolore ha già raccontato. Chiede il conto e ci avviamo verso le macchine. -Grazie per il pranzo. Chissà…magari la ritrova. A volte si torna indietro nella vita. Non lo penso veramente. -chissà…grazie per la pazienza e per la disponibilità. Lei mi ha regalato delle belle emozioni. Stia bene e non si preoccupi, va bene così. -Anche lei.(non mi preoccupo, e di che? Mi dispiace per lui, questo sì). Cerchi di tornare a vivere. Ci stringiamo la mano, lui indugia nella stretta. Mi guarda con una dolcezza struggente. Vorrei poterlo consolare, dirgli che ci sono altre donne che potrebbero renderlo felice ancora. Ma taccio. Certi amori, forse, sono inconsolabili. Nessun arrivederci. Io non ci tengo a rivederlo e lui non cercava me.
Sesto e settimo giorno Sabato e domenica per me sono sacri. Non lavoro, cerco di vivere. Ho ripensato a questa strana situazione, Non è reale, non è vera..è un copione da film. Forse quel tizio mi ha presa in giro, forse ha voluto testare le mie qualità professionali, vedere come me la cavo con la mistificazione. Penso a come posso esserne uscita. Penserà di avermi convinta? Di essere riuscito nel suo intento? Sono rimasta scettica fino alla fine, o quasi.. Bravo attore, com’era vera la sua sofferenza. E se fosse tutto vero? Può essere che ci siamo persone molto simili a noi, sparse nel mondo.. può essere che ci siano uomini che amano così, che certi amori sopravvivano alla loro fine. Un po’ fuori tempo magari.. oggi anche gli amori si consumano in fretta. Può essere che lui avesse preso un granchio, che magari lei non lo meritava.
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Ottavo giorno
Torno a lavorare e la cerco la mercedes blu, quasi mi manca. Non c’è. Capisco che lui è andato via. Quel po’ di emozione che gli serviva, che gli è capitata, se tutto era vero, se l’è presa. Missione mia, non cercata e non voluta, compiuta. Soliti gesti, apro la saracinesca, la porta dello studio, poggio la borsa, l’agenda… Di nuovo c’è una piccola nostalgia. Suona il citofono. Non può essere il primo paziente, manca mezzora e sento che non è neanche lui. Vado ad aprire personalmente. E’ il mazzo di fiori più grande che abbia mai ricevuto in vita mia: tutto sui toni del rosa e del giallo…tulipani,rose, lilium. I miei fiori preferiti. Mancano solo i papaveri. C’è un biglietto di accompagnamento. Il ragazzo della consegna si aspetta la mancia. Questi fiori la valgono tutta, sì. Lui va via soddisfatto. Non so dove mettere il mazzo, faccio scorrere un po’ d’acqua e lo adagio nel lavandino. Devo comprare un vaso più grande. Poi mi siedo e leggo.
“ Non ritroverò più Silvia perche lei è morta e da questa situazione proprio non si torna indietro. L’ho amata tanto, ci amavamo tanto e mi piace pensare che sia stata proprio lei a permettere questo incontro, perché la rivedessi ancora una volta, perché il mio dolore avesse una piccola tregua. Lei è stata veramente gentile, merita assolutamente quello che troverà dentro al mazzo. Non si stupisca, e lo accetti senza imbarazzo. Silvia non avrà da ridire, se è lei che ha voluto che la incontrassi, allora vuol dire che quel che ho fatto è buona cosa. Le auguro sinceramente di essere felice. Sandro”
Torno in bagno e guardo dentro al mazzo. Ancorata con un nastro d’argento agli steli delle rose, una piccola scatola blu.La stacco e vado a sedermi. La apro lentamente. E’ bellissimo! Un diamante incredibilmente bello. Non riesco a capacitarmi di quanto stia accadendo. Mi precipito verso la porta, apro, ho la sensazione che lui ora ci sia. La mercedes sta andando lentamente nella direzione opposta al mio studio, è già lontana, neanche correndo potrei raggiungerla. Ma lui mi ha vista, si aspettava la reazione o forse voleva vedere Silvia un’ultima volta. Sporge la mano dal finestrino, la solleva in segno di saluto. Rispondo al gesto con malinconia. Rimango lì finche la macchina non viene inghiottita da una curva. Non conosco il suo cognome e neanche il suo numero di telefono e non ho preso la targa della macchina.. Non posso restituire il regalo né ringraziare. Rientro costernata e chiudo la porta. Il profumo dei fiori è intenso e inquietante. Silvia è qui, Silvia non mi fa paura. Mi sembra di avvertirne la presenza. Non mi sembra sciocco dire a voce alta”ciao, Silvia” e neanche aprire la porta per farla uscire, perché vada da lui o lo lasci per sempre. Il diamante è rimasto pietra, non è diventato un anello. Ogni tanto lo guardo, prova tangibile di qualcosa che non ho sognato. Non è diventato anello. L’anello è un pegno d’amore, il diamante è per sempre. Tutte le volte che ho pensato di dargli quella forma, mentalmente lo chiedevo a lei “lo faccio, Silvia?” e la risposta era sempre la stessa ”non è ora..” E dunque aspetto.
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