"Le storie dell'ippogrifo", Capitolo 1: "Il volo"

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lamya
view post Posted on 24/11/2005, 01:37





“Non finto è il destrier, ma naturale,
ch’una giumenta generò d’un grifo.
Simile al padrea avea le piume e l’ale, li piedi anteriori, il capo e il grifo.
In tutte le altre membra parea quale era la madre,
e chiamansi ippogrifo”;


Chiuse il libro piano, lasciando la mano posata sull’immagine antica e guardò la Luna alta nel cielo, quella stessa luna alla volta della quale Astolfo si era diretto a ricercare il senno di Orlando, follemente e perdutamente innamorato di Angelica.
Angelica e le sue letture!
Non era affatto facile farsi capire dal resto del mondo, perché il mondo ha questo maledetto vizio di fagocitare gli individui: li cattura e li riflette nello specchio restituendo un’immagine diversa.

Era una notte chiara e quasi le pareva di vederla, la sagoma alata, stagliarsi scura contro la Luna , luminosa e tonda.
Certe notti, la realtà scala strane vette e mescola l’onirico agli avanzi bistrattati della vita.
Così, così il ricordo di un vecchio libro si trasforma in un destriero alato e lei diventa un ippogrifo.

Il volo dell’ippogrifo è un volo alla ricerca del senno, un volo di coraggio, di ardimento che osa ostinato l’impossibile.
Lei non aveva mai abbandonato le speranze e sebbene la vita renda a volte prigionieri degli eventi, lei aveva il suo ippogrifo nelle mani.

Lei era l’ippogrifo.

Così si era sempre sentita: una creatura a metà fra il raziocinio e la follia, alla ricerca delle cose impossibili fra le cose quotidiane.
Pensava: “c’è un accento lirico nel volo planare dei gabbiani, lei che un gabbiano se l’era fatto tatuare da ragazza su una spalla, c’è leggerezza nelle ali grandi di un albatros e la superbia nelle ardite ascese dell’aquila”, ma lei non era un gabbiano, non era un albatros né vedeva lontano come le aquile.
Il volo dell’ippogrifo è un volo disperato, eroico, dissennato, è il volo di chi pur nutrendosi del coraggio del leone o della nobiltà del cavallo è consapevole di essere una creatura in bilico, a metà fra cielo e terra.
Non è un bene essere a metà: c’è il rischio che nessuno ti riconosca, così si decide di lasciarsi intravedere, e con prudenza, solo quando c’è una luna buona e luminosa , sperando che non passi da quelle parti un licantropo affamato.
A volte, per ragioni imperscrutabili agli occhi dei più, gli ippogrifi si lasciano avvicinare e mostrano nudi la propria doppia natura.
Portano con sé chi ritengono possa accompagnarli verso la luna, non importa quanti e quali fardelli zavorreranno il loro volo, sanno di potercela fare.
Sono capaci di portare fardelli pesanti gli ippogrifi e non temono le fatiche perché sanno che non le trascineranno sulla terra e che quando il peso stancherà le membra, potranno spiegare le ali.
Strane creature, che sembrano invincibili tranne quando spezzano loro le ali ed allora ricadono nel mondo rovinosamente.


La mano era ancora posata sul quel libro chiuso, ma quella era una notte chiara, con la luna appesa in cielo ed era giunto un tempo buono finalmente.
Aggiustò le vesti e volse il capo : “Sei pensierosa, che hai?” le disse lui
“Nulla, pensavo agli ippogrifi” rispose immaginando che mai lui avrebbe compreso quella bizzarria;
“Ah già già gli ippogrifi…ti ho mai detto che adoro il tuo becco?”


 
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