Le storie dell'ippogrifo, Capitolo 4: il microcosmo

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lamya
view post Posted on 3/12/2005, 19:21




Il freddo aveva congelato la luce fin dalle prime ore del giorno, imprigionando con una tavolozza di grigi, il paesaggio.
Fuori l’aria era gelida ed induriva di ghiaccio le case, gli alberi, le strade ed i pochi avanzi di verde nei campi.
Angelica, non poteva uscire di casa ed aveva deciso di essere spettatrice da quella finestra che dava oltre il giardino e che incorniciava asimmetricamente un pezzo di mondo.
I rami brulli del pioppo tracciavano le linee oltre il vetro ed il cielo satinato di grigi sfumava i contorni delle nuvole.
Tutto era immobile.
All’improvviso un movimento veloce spezzò il fotogramma e sul ramo di mezzo del pioppo si posò, minuscolo e vivace, a sfidare gli strali del tempo, uno scricciolo .
I suoi vecchi, quelli di quand’era bambina, lo chiamavano la “cocla” della neve, la noce della neve appunto perché racchiuso e protetto in un guscio di piume marroni, ne annunciava l’arrivo .
In realtà Angelica sapeva che quell’esserino minuscolo era uno degli uccelli più resistenti ai rigori invernali , l’unico che era possibile vedere nei giorni freddo, quando gli altri erano migrati o nascosti, ma in fondo preferiva immaginarlo così, come ambasciatore del bianco.

Appoggiata su un fianco, a braccia conserte, al vetro di quella finestra, strinse il bavero della vestaglia di lana per raccogliersi indosso uno strascico di tepore notturno che aveva portato con sé dalle lenzuola appena lasciate.
Si annunciava una lunga giornata, tutta rinchiusa fra le pareti di casa.
Raccolse i capelli alla nuca e mise sul fornello la caffettiera.

Trascorse buona parte della mattina a pulire la casa, badando bene a togliere polvere dalle cose grandi e minuscole e concedendosi solo, di tanto in tanto, mezza sigaretta alla volta.
Il giorno ormai era ormai a metà così controllò di nuovo dalla finestra quel che accadeva sul mondo.
Fuori il freddo era ancora una morsa implacabile e le poche persone che avevano osato sfidare il rigore camminavano velocemente ed anonime come comparse su un palco al quale sentivano di non appartenere.
Il pomeriggio furono ore di farina e ragù, di zucchero e spezie, mentre fuori l’aria era un respiro trattenuto dal gelo.
A tre quarti del giorno in casa il forno brillava di una luce dorata ed il profumo della torta di mele aveva addolcito l’intero pomeriggio fino a quando furono il rosmarino e la salvia di un arrosto a speziare l’umore ed i suoi gesti all’inizio della sera.
Non che Angelica amasse cucinare , anzi dire il vero non le era mai piaciuto molto preferendo di gran lunga ai fornelli altre arti, altre passioni.
La sua casa era il suo microcosmo, con tutto quel che poteva metterci dentro di cose e persone, di odori e sapori , di musica e profumi, di colori.
Diceva sempre: “la casa deve odorare di buono e di pulito , dev’essere calda quando fuori è freddo dev’essere fresca quando fuori c’è afa, deve illuminarsi di luce quando fuori è buio e farsi penombra quando fuori la luce è accecante”.

C’era voluto talento quel giorno a disegnare quel microcosmo e il dipinto era quasi concluso.

Raccolse dal cesto una fascina di rametti sottili e li posò sugli alari del camino che incorniciava di marmo rosa il centro della parete del suo salotto, con perizia aggiunse qualche ramo più grosso e qualche foglio di giornale che accese di una piccola fiamma.
Il fuoco gentilmente incendiò la carta ed i rametti secchi spingendo dentro la cappa il filo di fumo che usciva da quelli un po’ umidi.Quando la fiamma divenne spavalda, trasformando il legno in piccole braci, aggiunse i due ceppi più grandi e aspettò lì davanti, accovacciata, che il calore le incendiasse le guance e riempisse di rosso l'interno del camino.

Sigaretta e musica jazz nello stereo.

Fuori il giorno stava morendo, senza che il freddo oltre la sua finestra avesse lasciato tregua e persino le poche sagome di uomini e donne , imbacuccati in cappotti e berrette , avavano dovuto lasciare la scena rifugiandosi oltre le quinte.
Il fuoco illuminava la stanza e riscaldava gli arredi puliti e i profumi sospesi nell’aria.
Aprì il cassetto del mobile fine ottocento e ne estrasse la tovaglia di fiandra, la spiegò e la distese con cura sul tavolo, vi poggiò due bicchieri di cristallo, quattro piatti, le posate d’argento ed una candela dalla foggia allungata che profumava di sandalo.
Si diresse verso il bagno e lasciò che dal rubinetto l’acqua calda riempisse la vasca e sciogliesse nell’aria gli odori dell'olio alla rosa .
Si spogliò con calma, mentre il vapore appannava gli specchi, chiuse il rubinetto e lasciò cadere a terra l’accappatoio bianco incominciando ad entrare nell’acqua quando il telefono squillò.

Dall’altro capo del filo una voce: “Ciao, amore…” e per la prima volta in quel giorno sorrise.
“Ciao tesoro,fra quanto sei qui?” poi si interruppe di colpo
“Amore non ce la faccio a venire da te…le strade sono impraticabili, mi spiace, vorrei davvero , ma non ce la faccio”
Silenzio e poi: “Non importa tesoro, non avevo fatto nulla di speciale e poi non mi sento neppure bene, ho ciondolato tutto il giorno senza far nulla, resta a casa, sarà per un’altra volta..”
“Sicura?”disse lui “ Sì, tranquillo, va tutto bene anzi è meglio!”
“Ci sentiamo domani allora?” chiese a garantire conforto non richiesto
“Sì, a domani un bacio” ed accennò ad sorriso.
“Un bacio”.

Chiuse il telefono e sciolse i capelli, alzò lo sguardo verso la finestra illuminata dal fuoco del camino: scendeva piano la neve.
Minuscoli fiocchi , quasi impercettibili al buio.

Musica jazz, una sigaretta alla bocca ed uno scatto dell’accendino illuminò nella fiammella una lacrima piccola piccola quasi fosse un altro microcosmo.




 
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