| E' recentissima l'uscita del nuovo numero di Eternauti, rivista on line legata al forum "amico" "IERI OGGI E DOMANI". Segnalo ai nostri lettori che si tratta di un periodico che ha l'obiettivo di raccogliere di volta in volta vari punti di vista in ordine a temi prescelti dal suo gruppo di redazione. Particolarmente interessanti i numeri dedicati alla musica ed al Pianeta Donna. L'ottavo e recentissimo numero di Eternauti è dedicato al Sud e raccoglie le ottiche e le opinioni su alcuni aspetti che lo riguardano. Mi ha lusingata moltissimo quando uno dei fondatori di Eternauti mi ha proposto di contribuire alla realizzazione di questo numero, così ho scelto di unire in quel che ho scritto due delle cose che amo di più e cioè il Sud e la poesia, azzardando una tesi che ho trovato condivisa in molte ricerche effettuate on line e che ha inoltre incontrato l'approvazione di alcuni miei amici e amiche che proprio dal Meridione d'Italia provengono.Pur non essendo meridionali si può amare profondamente quello che forse in modo un po' provocatorio è stato definito "Il Paese che non c'è" e così ad esso ho dedicato il mio modesto contributo che pubblico qui di seguito. Invito però i lettori di questo forum a visitare le altre e molto più interessanti disamine al link di Eternauti che trovate nella nostra home page in alto.
..................................Meridiana Poetica
Il sud non è una terra , ma uno stato d'animo, una condizione dell'essere umano, è soprattutto un“ pensar meridiano ”per quel complesso intreccio di storia, di tradizioni e di ragioni ambientali che l'hanno condotto ad essere anche una dimensione dell'esistenza.
Chi vive al sud o ha avuto la fortuna di visitarlo sa che quelli sono luoghi di scorci emotivi nati agli incroci di poli e culture, e sa che lì il tempo ha un valore diverso, allungandosi in un ritmo lento che è poesia.
E quando si pensa alla poesia del sud, si pensa inevitabilmente a Quasimodo .
Egli fu, egli è, senza dubbio alcuno, il più grande poeta meridiano di tutti i tempi perché più che essere rivolto alla ricerca di assoluto, come lo furono gli ermetici, egli rimase non solo nel suo primo periodo, ma anche in seguito, dannatamente ancorato alle ragioni della sua biografia ed a quel paesaggio siciliano che fu il grande elemento catalizzatore della sua poetica sino a divenirne la cassa di risonanza nella quale s'ode tutta la sua nostalgia, tutta la sua tristezza di “emigrato”.
“Mi richiama talvolta la tua voce e non so che cieli ed acque mi si svegliano dentro. Una rete di suoni che si smaglia Sui tuoi muri che erano a sera Un dondolio di lampade dalle botteghe tarde piene di vento e di tristezza”
Per questa ragione Quasimodo fu l'unica vera silloge del sud, per questa capacità straordinaria di disegnare paesaggi ed atmosfere meridionali, assorbendo proprio quegli echi che in campo letterario aveva per esempio tratteggiato Verga
“E questa sera carica d'inverno è ancora nostra, e qui ripeto a te il mio assurdo contrappunto di dolcezze e di furori, un lamento d'amore senza amore ”
Il sud di Quasimodo fu un doloroso lamento entro il quale, fra passato e presente, il paesaggio siciliano oscilla ed acquista a tratti la dimensione del mito fra quelle poche e rapide note che annodano passato e presente.
E'proprio la lontananza dalla sua terra che pesò come una condanna sul poeta e che gli consentì quel miracoloso equilibrio che egli seppe tessere fra racconto e canto.
Si fusero nella sua poetica la necessità letteraria di liberarsi dall'autobiografismo ed al contempo quella nostalgia che lo riportava alla sua terra , in un antagonistico processo di bisogni paralleli.
La sua, fu definita la “poetica della parola” e se negli anni successivi al 1931, per intenderci gli anni de L' Oboe sommerso egli parve quasi assumere connotati non suoi per quell'ossessivo compiacimento di portare quasi all'eccesso il processo di scarnificazione della parola, egli non sfuggì tuttavia alla sua anima meridiana lasciando in ogni modo intravedere il suo vero volto, quello che interiorizzava la parola in una musica profonda e limpida carica di una verità dolente.
” Io non ho che te cuore della mia razza”
fu proprio in questi due versi epigrafi a “Isola ” che emerse potente quella solitudine impenetrabile originata dall'assenza, dalla lontananza a quella terra di Sicilia che gli vide contrapporsi a Milano, a “quella macchina che stritola si sogni” e nella quale si stava compiendo la sua esistenza e paradossalmente la sua maturità poetica.
(…) Ho dimenticato il mare, la grave conchiglia soffiata dai pastori siciliani, le cantilene dei carri lungo le strade dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie, ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru nell'aria dei verdi altipiani per le terre e i fiumi della Lombardia. Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria (…)
Fu bella, straordinaria, mitologica la Sicilia di Quasimodo, egli la seppe dipingere magistralmente, viva e vibrante, così come solo gli occhi la possono vedere e raramente la parola sa raccontare.
” E tu vento del sud forte di zagare, spingi la luna dove nudi dormono fanciulli, forza il puledro sui campi umidi d'orme di cavalle, apri il mare, alza le nuvole dagli alberi”
“Fu la Sicilia e fu la vita ad emozionarlo in modo duraturo e globale, la Sicilia nelle sue due misure, antica e recente. Le figurazioni della memoria mitica che parte dal tempio di Zeus, dalle torri saracene e dai crociati, dal canto degli antichi poeti, dalle invasioni e dalle guerre, mescolate alle zagare, alla canicola, agli emblemi ed alle evidenze di un paesaggio, di un clima, di una terra particolare”
Fu la dimensione di una vita apparentemente misera ed il suo mescolarsi all'epica contadina, alla lotta di uomini per il proprio futuro a dipingere quel Sud cui nessuno l'avrebbe più condotto.
Più nessuno mi porterà nel Sud. Oh, il Sud è stanco di trascinare morti In riva alle paludi di malaria, è stanco di solitudine, stanco di catene, è stanco nella sua bocca delle bestemmie di tutte le razze che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti, costringono i cavalli sotto coltri di stelle, mangiano fiori d'acacia lungo le piste nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
Grande, assoluta poetica meridiana, quella di Quasimodo, che fugge dal sud e lì riporta la sua anima anche quando il suo canto si fa sublime più a nord e giungono gli anni della maturità.
Il sud di Quasimodo non fu solo Sicilia , ritroviamo infatti il poeta a parlare della Pizzica, danza del sole del vento in quella terra di Puglia e di Salento che egli definì “ terra del rimorso ”, “spaccata dal sole e dalla solitudine, dove l'uomo cammina sui lentischi e sulla creta. Terra che scricchiola e si corrode ogni pietra da secoli …
Là dove anche le pietre squadrate, tirate su dall'uomo, le case grezze, le chiese destinate alla misura del dolore e della speranza, seccano e cadono nel silenzio.
Là dove avara è l'acqua a scendere dal cielo e gli animali battono con gli zoccoli un tempo che ha invisibili mutamenti … Là, dove la terra è terra di veleni animali e vegetali qui cresce nella natura il ragno della follia e dell'assenza, si insinua nel sangue di corpi delicati che conoscono solo il lavoro arido della terra, distruttore della minima pace del giorno. Qui cresce tra le spighe di grano e le foglie del tabacco la superstizione, il terrore, l'ansia di una stregoneria possibile, domestica. I geni pagani della casa sembrano resistere ad una profonda metamorfosi tentata da una civiltà durante millenni"
E se Quasimodo rappresenta la più grande e la più nota espressione della poetica meridionale non resta che ripercorrere a ritroso e poi in avanti il panorama lirico “ delle due sicilie ” alla ricerca d'echi lirici .
Ne sortisce fin da subito una scoperta sconcertante poiché occorre andare molto indietro nel tempo fino a Cielo d'Alcamo , fino alla scuola siciliana del 1200 per ritrovare esempi di una poetica del Sud codificata ed ufficialmente riconosciuta.
Va detto poi che quella siciliana del 1200, sviluppatasi in contrapposizione alla poesia provenzale, fu essenzialmente una poesia di corte, incentivata dallo stesso Federico II di Svevia non solo per amore lirico, ma al fine di riunificare linguisticamente il regno del sud.
La storia della poesia del sud è una sorta di “damnatio memoriae” che subì fin dai suoi albori una serie lunghissima di atti d'ingiustizia e di esclusione sia volontaria che involontaria.,Si pensi per esempio che i testi originali della scuola poetica siciliana non sono mai giunti sino a noi se non le loro versioni trecentesche e, guarda a caso, tradotte dalla scuola toscana, della quale si avverte visibilmente la contaminazione.
Risalendo cronologicamente fino ai giorni nostri pare quasi che la terra della meridiana poetica non abbia saputo celebrare interamente la poesia di cui vive la sua terra, di cui respira il suo vento e scalda il suo sole.
Non che la “ gente del Sud ” non abbia poetato, anzi mirabili sono state alcune pagine di Alfonso Gatto, Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli , ma la loro viene ad oggi ancora considerata una poetica dei minori.
Nulla di strano a ben pensarci.
La poesia in generale può universalmente essere considerata in due modi: o espressione letteraria elitaria, produzione di nicchia destinata ad un pubblico selezionato o, quando resta legata alla dimensione popolare, si sostanzia nell'oralità e si traduce non sulle pagine di un libro, ma nelle ballate, nelle canzoni, nelle tradizioni popolari
E' il secondo caso quello della poesia meridiana, è lirica del quotidiano e della storia , dello spirito di un popolo .
L'intero quotidiano a sud , la vita stessa a sud è un tributo poetico alla sua gente ed al sua storia e proprio quei poeti figli di un Dio minore , allora là troviamo “ Marchiare ” di Salvatore di Giacomo , là troviamo “ La livella ” di Totò , là troviamo i De Filippo , là troviamo i cantastorie che narrano di briganti ed eroi
Se è vero che la poesia del sud è la poesia del tempo che si vive ogni giorno, dei modi e dei gesti, della passione, del canto e del lamento, va anche detto che storicamente pesano su questa “poetica negata” soprattutto le condizioni economiche della sua gente. Si potrebbe così provocatoriamente affermare che laddove c'è più miseria, là si “poeta” di meno.
La poesia è stata storicamente una produzione intellettuale “ dei ricchi”, tutti i grandi poeti infatti, sia del centro che del nord, provengono da una classe sociale agiata o appartengono addirittura a famiglie nobili ; quando così non è stato , il poeta ha comunque dovuto trovare un altro mezzo di sostentamento che non fosse la poesia assicurando attraverso altre professioni la propria sopravvivenza.
La storia della poetica meridiana è innegabilmente una storia letteraria degli esclusi alla quale concorre un altro elemento ostativo rintracciabile, forse, dalla lontananza di quella terra dai luoghi di diffusione della cultura e dalle grandi maglie dell'economia editoriale, infatti a parte Laterza, non troviamo a sud le grandi case editrici . Questa sorta di egemonia culturale del Nord e delle sue case editrici, il carattere “Milanocentrico” della poesia italiana, la specificità del messaggio poetico del Sud ed anche una sorta di ostracismo antimeridionale, hanno trovato un fertile terreno nell'incapacità di valorizzare e promuovere la cultura “locale” a sud del nostro paese.
Verrebbe da affermare che l'esclusione della poesia meridiana dalle pagine “note” della lirica italiana è stata condizionata non tanto dal valore oggettivo dei suoi poeti, ma soprattutto da una dittatura di mercato cieca ed ormai anacronistica e da una scarsa capacità imprenditoriale del mondo che ruota intorno agli intellettuali del Sud.
Solo recentemente si può assistere ad un fermento intellettuale che rivendica la “ silloge negata ”, e resta quindi una questione aperta come negli anni a venire il Sud saprà sostanziare i risultati di questo fermento.
E' quasi banale affermare che ancora una volta, anche per la sua poesia, il Sud “paga” cara la sua peculiarità e che, anche la sua poesia, è un altro capitolo della “questione meridionale”.
“La luna dei Borboni col suo viso sfregiato tornerà sulle case di tufo, sui balconi. Sbigottiranno il gufo delle Scalze e i gerani; la pianta dei cornuti e noi, quieti fantasmi, discorreremo dell'unità d'Italia. (…) Bodini
E' ovvio che si tratta di una disamina incompleta e che molti altri aspetti andavano approfonditi e che è funzionale alla mia tesi la scelta di aver citato Quasimodo non nel suo aspetto più noto di poeta dell'impegno civile, ma cercando di andare a riconoscere le tracce di uomo del sud e di intellettuale"emigrante". Mi scuso con i lettori e gli amici del Sud se non ho saputo completamente o ben interpretare le istanze e lo spirito meridionale, vogliate accogliere questo solo come un piccolo contributo da parte di chi pur non essendo nata "meridiana", considera quelle Terre e quella gente uno degli alvei più ricchi e preziosi della cultura italiana e non solo...
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