| In un cassetto, una lettera...parole segrete...
Avrei dovuto...
Avrei dovuto avvolgerti in una coperta e portarti al mare, avrei dovuto vincere il buonsenso dei medici e dei parenti che si preoccupavano di coprirti e prepararti bevande calde, avrei dovuto rapirti come un cavaliere coraggioso e portarti sulla spiaggia e raccontarti di stelle marine vagabonde e di ippocampi maschi che partoriscono i i piccoli sfidando la natura. Avrei dovuto ingravidarmi del tuo dolore e andarlo a partorire sulla riva e poi lasciar cullare il mio dolore dai tuoi silenzi abitati da pezzi di storie mescolate e interrotte. Avrei dovuto. ..e sono qui, seduto su una poltrona che non odora di casa, di fronte a una donna che mi guarda attenta e serena e i suoi occhi non mi danno tregua. È la terza volta che la vedo, mi sta diventando familiare. Non ti somiglia, non ha proprio niente di te. Avrei dovuto conoscerla tre anni fa, quando i miei silenzi assordavano la mia donna e il rumore delle sue lacrime mi risultava insopportabile. Ma non era tempo. Era il tempo dei senza. Senza timori, senza desideri, senza bisogno di nessuno. Solo con la certezza di vivere due vite. Quella con te e quella senza. Più facile la seconda, liberatoria, solitaria, assente di parole. Angosciante la prima, quella del tempo con te. Quando ero piccolo, ogni tanto sparivi, dicevano che stavi male, che dovevi andare in ospedale. Quando ero adolescente ho cominciato a conoscere il tuo mondo, a entrarci. I tuoi cambi di umore, le giornate a letto, la luce che ti dava fastidio e i rumori... i rumori che ti martellavano la testa e l'anima facendoti urlare. Non c'era nulla che ti desse gioia o pace, non c'era figlio o Dio che ti desse sollievo. Dio non ti guardava, era imbarazzato per la sua opera guasta; io mi vergognavo, mi vergognavo di te. Quando stavi meglio ,a volte ti portavamo fuori, al ristorante. A te piaceva stare in mezzo alla gente, ma bastava poco per vedere il tuo sguardo smarrirsi, i tuoi gesti rallentare, il rumore delle posate gettate per terra... ed eccolo l'imbarazzo, eccolo riaffiorare beffardo, trionfante sull'illusione di una serata normale. E ti piaceva il mare. Chissà cosa ci vedevi nel mare. Ricordo quella volta in spiaggia, quanti anni avevo? Dodici? Eri felice, c'eravamo tutti e tutti sembravamo sereni, persino rilassati. Rilassati del tutto non lo eravamo mai. Tu avevi il mare, mio padre il suo giornale, io la ragazzina dell'ombrellone accanto. Erano i miei primi turbamenti ,ogni tanto lei mi guardava ed era proprio carina. Anch'io la guardavo e mi sentivo bene, sentivo di essere al mondo finalmente, per qualcuno. Eccitazione strana, insolita. Sentivo il mio cuore battere e stavolta non per paura. Era un battito nuovo, un tamburo allegro, a tratti una grancassa. Poi l'urlo. ll tuo urlo. Che avevi visto? Quale dei tuoi mostri era emerso dalla sabbia che fissavi con orrore? Il giornale che cade, il mio cuore che riprende l'altro battito, quello lento della vergogna, la gente che si volta, che chiede, finché risulta chiaro a tutti cos' hai, cosa sei. Frasi sconnesse, urla disperate come di ferita lancinante, testa che ruota e non trova un verso, occhi lontani a seguire abissi di terrore. Poi ti eri calmata, avevi ripreso a guardare l¹acqua. Non siamo riusciti a staccarti dal lettino. Ti eri aggrappata come un pappagallo al suo trespolo. E siamo rimasti lì, con la gente intorno che non smetteva di guardare. La ragazzina era stata trascinata via dai suoi, per fortuna. lo mi sono messo a fissare il mare come te e ricordo di aver desiderato che tutto finisse, che tu morissi. Capisci? Ho desiderato la tua morte. Poi sei rimasta sola. Papà non ha retto, io venivo a trovarti. Visite brevi, brevi le conversazioni. Tu e le tue pillole, la tua serenità artificiale, e il giorno in cui mi hai detto "sono andata a teatro da sola". Che tenerezza straziante ora. Nessuno ti portava a teatro, ci eri andata da sola.. E la volta in cui mi hai sussurrato, come fosse un segreto, se ti riportavo al mare un giorno, andava bene anche d'inverno. Ho preso tempo, pur sapendo che la morte ha un orologio che non rispetta il nostro. Te ne sei andata senza urla, senza fretta, senza un vero commiato. Del resto, era da tanto che ci eravamo già accomiatati. ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………. Non so se riuscirò mai a dire a questa donna che non ti somiglia, che non ha niente di te, queste cose, ma sono qui, mi ci hai portato tu, il tuo dolore è diventato il mio, il mio tormento e il bisogno di pacificarmi con te e... con me. Aiutami, come non ho aiutato te, ascoltami e perdonami, mamma.
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